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19 maggio 2020

DALL’EMERGENZA SANITARIA DA CODIV-19 A QUELLA ECONOMICA: LE MISURE DI CONTRASTO IN MATERIA FALLIMENTARE APPRONTATE DA GOVERNO

Dall’emergenza sanitaria da codiv-19 a quella economica: le misure di contrasto in materia fallimentare approntate da Governo


E’ un dato di fatto che la recente pandemia da Covid-19, oltre a costituire una drammatica emergenza sanitaria, stia certamente determinando uno shock economico di proporzioni inimmaginabili per le persone, le famiglie e per il tessuto imprenditoriale italiano: tutti questi soggetti, a causa del c.d. lockdown rischiano di perdere il posto di lavoro o di non riuscire a riprendere le proprie attività commerciali.


A tale ultimo riguardo, si consideri che il tessuto economico italiano al 75% è imbastito da PMI e che di queste il 90% è composto da imprese che occupano meno di 10 persone (c.d. “microimprese”, secondo la definizione contenuta nella Raccomandazione della Commissione Europea 6 maggio 2003, n. 2003/361/CE) e che si concentrano nel settore del terziario (circa il 75%) ovverossia dedicate al turismo, al commercio, ai servizi alle persone e alle imprese: si tratta di settori duramente colpiti dalla crisi economica che si è abbattuta e che prosegue anche dopo il 4 maggio, allorché è timidamente iniziata la c.d. Fase 2.


L’imprenditoria in generale e quella di cui si è accennato al paragrafo che precede, in particolare, non sembra possano trarre particolari vantaggi, se non minima parte, dalla legislazione emergenziale varata nelle ultime settimane.


Mi riferisco, in particolare, al D.L.8 aprile 2020, n. 23 (c.d. “Decreto Liquidità” non ancora convertito in legge) e a quelle disposizioni che sono direttamente intervenute in materia fallimentare e societaria.


Si tratta di disposizioni – come si dirà immediatamente – davvero poco appaganti perché unicamente finalizzate a tamponare l’emergenza economica e non anche a favorire la ripresa economica delle imprese colpite dalla pandemia.


Ai fini che qui interessano, va sicuramente valutata positivamente la disposizione dell’art. 5 del D.L. 23/2020 che ha rinviato al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), atteso che i risvolti economici negativi cagionati dalla pandemia avrebbero costretto gli operatori del diritto e i giudici a confrontarsi con norme nuove in tema di insolvenza e con istituti (quali quelli di allerta e di composizione assistita della crisi) difficilmente applicabili con successo ad una moltitudine di imprenditori in crisi a causa del virus.


Non va tuttavia dimenticato che alcune norme del Codice in materia societaria sono già in vigore dal 16 marzo 2019.


Si tratta, in particolare, delle norme degli artt. 375-384 che hanno apportato importanti modifiche al codice civile in tema di assetti organizzativi, assetti societari, responsabilità degli amministratori, nomina degli organi di controllo, cause di scioglimento, cooperative, finanziamento soci.


Il Decreto Liquidità ha, per così dire, solo in parte “congelato” l’operatività di nalcune di queste norme, essendo intervenuto solo sulle società di capitali e non anche su quelle individuali e/o di persone (s.n.c. e s.a.s.) in relazione alle quali il novellato art. 2086, secondo comma,  c.c., stabilisce che “l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonchè di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.


Il rinvio dell’entrata in vigore del Codice, salvo quanto poc’anzi evidenziato, consentirà agli operatori del diritto di tentare di gestire la crisi d’impresa con gli strumenti messi a disposizione dalla vigente legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), in tutti i casi in cui ciò sia possibile (si pensi, ad esempio, al concordato preventivo liquidatorio che subordina l’ammissibilità al pagamento dei creditori chirografari in misura pari ad almeno il 20%); diversamente, in caso di impresa involvente ai sensi dell’art. 5 l. fall., la dichiarazione di fallimento sarà inevitabile, con tutte le conseguenza che ne deriverebbero in termini di dissoluzione del capitale d’impresa investito, di perdita di posti di lavoro, di perdita di ricchezza a livello nazionale.


In questa prospettiva, il D.L. 23/2020 si è limitato a pochi ed insoddisfacenti interventi che, come da più parti auspicato, si spera vengano migliorati o in sede di conversione in legge de Decreto, o con l’approvazione di norme ad hoc.


L’articolo 9 del d.l. n. 23/2020 reca alcune disposizioni indirizzate a disciplinare le procedure di concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione in corso di esecuzione o ancora non conclusi, al fine evidente di scongiurare le ricadute economiche dell’attuale contesto emergenziale sulle imprese che abbiano attivato tali procedure di composizione della crisi in un momento precedente al dilagarsi dell’epidemia.


L’articolo 9 stabilisce, infatti, in relazione alle procedure di concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione del debito già omologati i cui termini di adempimento scadrebbero fra il 23.2.2020 e il 31.12.2021 una proroga di detti termini di 6 mesi; allo stesso modo per i procedimenti di omologazione del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione pendenti alla data del 23.2.2020 è prevista la possibilità di richiedere un differimento di  6  mesi dei termini di adempimento originari; è invece prevista la possibilità di prorogare  di 90 gg. i termini per la presentazione del piano (nel c.d. concordato preventivo in bianco o con riserva) sul presupposto che il debitore abbia già beneficiato delle proroghe dei termini già precedentemente previste; proroga che può essere concessa anche in pendenza di istanza di fallimento (art. 9 D.L. 23/2020), oppure richiedere la concessione di un termine di  90 gg. per la predisposizione di una nuova proposta di concordato o di un nuovo accordo di ristrutturazione.


L’art. 10 del D.L. 23/2020 è intervenuto, infine, sui ricorsi per dichiarazione di fallimento che, prevedibilmente, nelle prossime settimane verrebbero depositati dai creditori insoddisfatti per il mancato pagamento di importi a loro dovuti da quegli imprenditori che, colpiti dalla pandemia, “non sono più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” (art. 5, comma 2, l. fall.).


L’art. 10 introduce una eccezionale previsione di improcedibilità dei ricorsi per dichiarazione di fallimento e di insolvenza, ai sensi degli artt. 5 e 195 l. fall. che dovessero essere depositati nel periodo ricompreso tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, nonché per la dichiarazione dello stato di insolvenza ai sensi dell’articolo 3 del d.lgs. n. 270/1999, ad eccezione di quelle istanze di insolvenza che riguardino quelle imprese sottoposte al d.lg n. 347/2003 (c.d. Decreto Marzano).


Alla scadenza del periodo indicato, peraltro, le istanze per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza potranno essere nuovamente presentate.


Unica eccezione è rappresentata da quanto disposto nell’articolo 10, comma 2, del d.l. n. 23/2020. Si tratta delle ipotesi in cui il ricorso è presentato dal pubblico ministero con la richiesta di emissione dei provvedimenti cautelari o conservativi di cui all’articolo 15, comma 8, l.f..


L’ultimo comma dell’articolo 10 del d.l. n. 23/2020 precisa che, nei casi in cui al periodo di improcedibilità faccia seguito la dichiarazione di fallimento, tale periodo non verrà computato ai sensi degli articoli 10 e 69-bis l.f.. In altri termini, si sterilizza l’efficacia del periodo di improcedibilità dei ricorsi ai fini del calcolo dell’anno decorrente dalla cancellazione della società dal Registro delle imprese per la dichiarazione di fallimento, sia ai fini del calcolo dei termini di cui all’articolo 69-bis l.f. per la proposizione delle azioni revocatorie.


Ciò detto, non può sottacersi la circostanza che le nuove misure del capo II del d.l. n. 23/2020 non si occupano delle c.d. crisi minori, vale a dire delle crisi attualmente disciplinate dalla legge n. 3/2012 relativa ai procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio. Si tratta di una carenza che dovrebbe essere colmata, considerato che, oltre ai consumatori e agli enti diversi, sono interessati dall’ambito applicativo della legge n. 3/2012 numerosi imprenditori non fallibili.


Al riguardo, non v’è dubbio che la sospensione dei termini processuali, disposta con l’articolo 83 del


d.l. n. 18/2020 e prorogata dal d.l. n. 23/2020 deve intendersi riferita anche al compimento degli atti relativi a detti procedimenti. Tuttavia, al pari di quanto può verificarsi nei concordati preventivi o negli accordi di ristrutturazione conclusi dalle c.d. imprese fallibili, la situazione di emergenza sociale dovuta alla cessazione delle attività produttive può comportare la difficoltà, da parte del debitore sovraindebitato, di dare esecuzione ai piani economici-finanziari su cui si basa l’esecuzione dell’accordo di composizione della crisi, ovvero ai piani del consumatore, già omologati: si tratta, infatti, di vicende processuali ormai concluse che, come tali, non beneficiano della sospensione ex articolo 83 del d.l. n. 18/2020, come prorogata dall’articolo 36 del d.l. n. 23/2020 e in relazione alle quali quest’ultimo nulla dispone.


In considerazione dell’evidente vulnus normativo, può sostenersi che anche i debitori in stato di sovraindebitamento – in alternativa alla possibilità di richiedere una modifica delle condizioni e/o delle tempistiche di adempimento indicate nel piano del consumatore o nell’accordo di composizione della crisi originari, ai sensi e secondo le modalità previste dall’articolo 13, comma 4-ter, della legge n. 3/2012 – possano richiedere al Giudice la sospensione dell’esecuzione del piano o dell’accordo, attenendosi ai conseguenziali provvedimenti dallo stesso assunti.



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